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Diario #5: Cosa sono gli ISO?

Sensibilità  ISO

La sensibilità ISO è uno di quei valori che la fotografia digitale ha rivoluzionato rispetto alla tradizionale fotografia a pellicola. Gli ISO ci sono sempre stati e le pellicole erano più “lente” o più “veloci” a seconda del valore ISO (o ASA) che riportavano. Sostanzialmente si trattava di emulsioni della pellicola che avevano bisogno di più o meno tempo per impressionarsi. Erano però profondamente scomode: immaginate di essere un fotografo a pellicola e di non avere con voi un flash…dovete usare la luce che c’è insomma. Siete fuori, una bella giornata e scattate con la vostra pellicola da 100 ISO, quando il cielo si rannuvola e siete costretti a entrare in casa, però volete fare un altro scatto magari usando la luce che entra da una finestra. Ma il tempo è peggiorato e la luce è diminuita molto. Controllando l’esposimetro notate che dovreste scattare con un tempo di scatto di 1/10 di secondo…troppo lungo per farlo a mano libera, e non avete il cavalletto né un appoggio. Siete costretti a usare un rullino da diciamo 400 ISO, quindi dovete smontare quello che avete e aprirne un altro.
Immaginate cosa voleva dire per un fotografo di matrimonio, che passava dalla luce dell’esterno al buio della chiesa. Doveva avere più macchine, rullini diversi ecc. Un casino insomma. Il digitale ha parzialmente risolto questo problema, semplicemente dando la possibilità all’utente di modificare questo valore ogni volta che vuole. Quando noi alziamo o abbassiamo il valore ISO di fatto diciamo solo alla macchina di amplificare di più o di meno il segnale che arriva al sensore. La miglior pulizia dell’immagine e la qualità più alta si ottengono usando sempre il valore ISO più basso possibile (50, 80, 100, 200, dipende dalla macchina), perché la macchina non ha bisogno di amplificare molto il segnale, ma questo ovviamente significa che dovrà arrivare molta luce al sensore, quindi a meno che non ci sia il sole o che non abbiamo una sorgente luminosa abbastanza potente dovremmo usare dei tempi lunghi o dei diaframmi molto aperti. Ma se non fosse possibile? Ad esempio a un concerto di una band di amici come faremmo? Di luce ce n’è pochissima, i tempi di scatto per evitare che i nostri amici si trasformino in strisce di luce sono brevi…l’unica soluzione consiste nell’aumentare il valore ISO. Fosse sempre così facile e se non cambiasse niente tanto varrebbe tenere sempre il valore ISO bello alto, in modo da poter usare diaframmi più chiusi e tempi più brevi e invece no…perché?? Perché amplificando il segnale “buono” che arriva al sensore si amplifica anche il rumore di fondo, ragion per cui l’immagine diventa granulosa, meno nitida e in definitiva qualitativamente inferiore. Avete presente una chitarra elettrica? Se la collegate a un amplificatore e tenete basso uscirà solo il suono prodotto dalla corda, ma se aumentate la “manopola” dell’amplificatore con scritto GAIN anche se state fermi sentirete un fruscio di fondo venire dall’amplificatore. Ecco, quello è il rumore. Ovvio che in una macchina fotografica non produce un suono, ma il concetto è quello. In sostanza noi non variamo la sensibilità ISO davvero, modifichiamo solamente l’amplificazione del segnale, avendo una variazione “equivalente”. Questo però ci porta a poter variare i tempi e di diaframmi. Anche gli ISO funzionano in STOP, ma sono più facili da leggere: raddoppiano sempre il valore, così tra 100 e 200 c’è uno stop, tra 200 e 400 un altro, tra 400 e 800 un altro e così via, esattamente come accade coi tempi di scatto.
Chi ha voglia di capire come funziona dal punto di vista tecnico può continuare a leggere, a chi non frega nulla del modo in cui si forma salti pure questa parte. Come abbiamo visto i sensori sono divisi in milioni di “fotositi” che raccolgono un informazione luminosa quando vengono colpiti da un elettrone. Ma se di luce ce n’è poca il numero di fotoni che colpiscono il sensore diminuisce, quindi alcuni fotositi rimangono senza fotone, in parole povere non vengono colpiti o vengono colpiti troppo debolmente…quindi il chip che legge i fotositi e li trasforma in un immagine come fa a dare un valore a quel pixel, che non è stato colpito? Fa una media degli 8 pixel (o più) che gli stanno intorno e assegna a quel fotosito un valore medio. Glielo da d’ufficio insomma,
simulandolo. Certo, finchè sono pochi i pixel ricostruiti in questo modo nessun problema, ma quando cominciano a diventare tanti il rumore diventa invadente. Ecco anche perché le macchine con i sensori più grandi generano immagini migliori a parità di megapixel: perché ogni fotosito sarà più grande, quindi aumenteranno i fotoni che lo colpiscono e ci sarà più segnale elaborabile. Ad oggi però alcune macchine hanno talmente tanti megapixel anche su sensore pieno che la dimensione del singolo fotosito (pixel pitch) è praticamente identica a quella di una aps-c. Quello che mantiene la qualità dell’immagine è l’impiego di algoritmi di calcolo più precisi e sofisticati.
Altro motivo di generazione del rumore è il riscaldamento del sensore: più lunga è l’esposizione più il sensore si scalda e produce rumore. Nelle foto di un certo tipo (ad esempio un panorama notturno con macchina sul cavalletto e 20 secondi di esposizione) le macchine di livello avanzato fanno un’altra cosa: dopo aver scattato la foto “vera” ne scattano un’altra a otturatore chiuso, cioè completamente nera. Il chip confronta le due immagini sovrapponendole e tutti quei pixel chiari nell’immagine fatta a otturatore chiuso li toglie dall’immagine vera, perché sono prodotti dal riscaldamento del sensore. Questa tecnica si chiama Dark Frame.

Published by
Federico Pasinetti

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